Blog Dalia su Crescere leggendo Curiosità
Pubblicato in data martedì, Ott 15

Ciao soldato

Due ragazzi di leva negli anni ’60 e il racconto di un sentimento impossibile.

Quanto ci condiziona la società in cui cresciamo? Possiamo essere davvero gli artefici della nostra felicità? Agnese F., Siria M., Emma C. del Liceo Scientifico Renato Donatelli di Terni ci fanno riflettere con il loro racconto.

Il racconto è stato scritto a seguito del laboratorio di scrittura creativa curato da Arjuna Cecchetti e proposto dalla Biblioteca comunale di Terni bctsezione Why not, che ringraziamo di cuore per l’iniziativa.

Buona lettura!

Ciao soldato

Luciano salì sull’autobus, il solito 64, che ogni giorno lo conduceva a casa della sua fidanzata Chiara, che abitava nella parte più bella di Messina, la città in cui erano nati e cresciuti. Luciano era un bel ragazzo, in forma smagliante, capelli corvini, occhi scuri e un accenno di barba, segno degli adolescenti che si affacciano all’età adulta. Viveva nella Sicilia degli anni ’60, era scalmanato e amava divertirsi, ma era consapevole, come gli ripetevano tutti i giorni i suoi genitori, che avrebbe dovuto mettere la testa a posto e iniziare a costruire un futuro, con una moglie, un buon lavoro e dei figli da mantenere. Luciano sapeva che tra poco sarebbe arrivata la chiamata per la leva e cercava di godersi gli ultimi momenti nella sua città, con Chiara, diventata la sua ragazza dopo una vita intera di amicizia. Non immaginava che da lì a poco la sua vita sarebbe cambiata, guardava il mare ignaro della tempesta che sarebbe arrivata.

Buongiorno mamma

“Buongiorno mamma” disse Edoardo appena alzato e arrivato in cucina, schioccando un bacio sulla guancia alla donna, che aveva un po’ di rughe ma degli occhi azzurri, curiosi e limpidi come quelli di un bambino. A 1.170 chilometri di distanza iniziava la giornata del padovano Edoardo che, tanto affezionato alla mamma Agata, si gustava la sua colazione, prima di uscire e andare in Comune, dove affiancava il portinaio, con la speranza di prenderne un giorno il posto. Vedere gente che entrava e usciva, borbottava qualcosa sul comportamento degli impiegati o si lamentava della burocrazia lo intrigava: così passava le sue giornate, prima della chiamata della leva, “il rosso”, chiamato in questo modo per via dei suoi capelli color carota e le lentiggini marcate. Era una cosa che lo agitava il dover partire e lasciare gli affetti, ma in fondo – pensava – sono solo quindici mesi, senza sapere che non avrebbe fatto più ritorno nella sua bella Padova.

La temuta chiamata

La temuta chiamata arrivò, per entrambi, e in poco tempo si ritrovarono reclutati nella caserma “Folgore” di Roma, insieme ad altri ragazzi provenienti da tutte le parti d’Italia. Passò la visita medica, la prima adunata, la prima notte, ed arrivò anche la nostalgia di casa, degli affetti e di più ore di sonno. Edoardo e Luciano dormivano in un letto a castello, ma nelle prime settimane di servizio non si erano mai rivolti uno sguardo: svolgevano le loro mansioni, scrivevano alle loro “amate” che li attendevano a casa, la mamma Agata e la fidanzata Chiara, e si immergevano nei loro pensieri di notte, quando nessuno li poteva disturbare.

In un giorno di novembre, un po’ piovoso, dopo essere tornati nelle camerate dopo il rancio, Edoardo si appoggiò sul suo letto, sopra a quello di Luciano, e improvvisamente un’asse si ruppe, arrivando a venti centimetri dalla testa del siciliano, che rimase di stucco. Allora la situazione in caserma era ancora molto tesa, essendo i primi tempi, e la prima cosa che uscì naturale ai giovani fu scoppiare a ridere fragorosamente. Da quel giorno Nord e Sud si unirono nella capitale e i ragazzi passarono da essere sconosciuti a essere definiti “quei due”.

Edoardo e Luciano

Edoardo e Luciano diventarono l’un per l’altro il migliore amico che si potesse avere, facevano tutto insieme e parlarono del loro rapporto anche ai familiari a casa, perché convinti di voler restare in contatto anche dopo il servizio militare.

Quando erano lontani da tutti, facevano discorsi lunghissimi sulla vita e sul suo significato, con la curiosità dell’uno e le esperienze dell’altro, affrontavano gli argomenti più disparati e intanto dentro di loro si rendevano conto che qualcosa stava cambiando.

Non è tanto il tempo che passi con una persona, ma quello che provi quando sei con lei, che ti fa capire cosa vuoi davvero. Edoardo, dopo un po’ di tempo e con molta fatica, l’aveva capito. Per la prima volta si era sentito a suo agio con sé stesso e comprendeva il perché. Però c’erano troppi ostacoli sulla via della verità, il primo era Luciano, la sua reazione, la reazione della famiglia e soprattutto della caserma. Ci pensò giorno e notte mentre continuava a vivere in simbiosi con il siciliano e, quando stette vicino come un battito di ciglia a rivelare il suo segreto, arrivò un telegramma da Messina. Calò il gelo, Luciano venne chiamato nell’ufficio del direttore e sparì in una notte. Il giorno dopo si sparse la voce che doveva tornare in Sicilia perché la sua fidanzata aveva scoperto di essere incinta e i compagni non fecero altro che ridere dell’accaduto tutto il giorno, questionando sulla paternità del piccolo. Edoardo sperava con tutto sé stesso che il bambino non fosse dell’amico ma sarebbe stato un dolore troppo grande per il ragazzo a cui teneva così tanto e non voleva nemmeno che soffrisse. Non si fece più domande, non trattò più l’argomento e si chiuse in sé stesso, continuando la sua carriera militare senza fare amicizia con nessuno.

Intanto a Messina

Intanto a Messina, con il treno diretto da Roma e poi con il 64 dritto fino a casa di Chiara, Luciano arrivò in fretta e furia per sapere di più sull’argomento.

Suonò al civico 23 di via Giolitti, palazzina 2 interno B e salì le scale, gli aprì la porta la ragazza con un viso preoccupato e una ruga proprio sulla croce degli occhi. Gli spiegò che due settimane dopo la sua partenza ebbe un mancamento, andò dal dottore, fece le analisi e scoprì di essere incinta di un mese e che quindi lui sarebbe diventato presto padre.

Ancora in divisa, con il giaccone, Luciano rimase immobile dopo le parole di Chiara e mille pensieri imperversarono nella sua mente: anche lui si era sentito diverso, completo, al fianco di Edoardo, ma si nascondeva dietro il suo aspetto già da uomo e il suo carattere quasi forzatamente virile. Voleva molto bene a Chiara, la amava, però non ne era innamorato e neanche realmente intenzionato a passare una vita con lei. Però Luciano era un uomo onesto e si voleva prendere cura del suo bambino. Così si prese le sue responsabilità e si disse pronto a riconoscere il piccolo una volta nato, solo che il congedo non aveva una lunga durata e doveva tornare in caserma a Roma, almeno fino alla fine della leva.

Nella capitale

Intanto, nella capitale, in assenza di Luciano, Edoardo aveva ottenuto delle qualifiche e aveva seguito degli studi, diplomandosi e salendo di grado. Così un giorno arrivò un telegramma, stavolta per lui, fu convocato dal direttore, lui sparì nella notte. Fu trasferito a Trieste, dove la caserma mancava di una figura del suo grado, che si era congedata: doveva sostituirlo almeno fino al suo ritorno. Quindi, all’arrivo di Luciano a Roma, Edoardo non c’era più e, ancora una volta, come i due poli uguali della calamita, si erano spinti via, l’uno lontano dall’altro.

Passa il tempo, Luciano a Roma si tiene in contatto con Chiara sempre più spesso e nel frattempo cerca di farsi notare nella caserma, diventando il più responsabile,  per ottenere un lavoro finita la leva. Edoardo, convinto che il ragazzo amato sia dall’altra parte d’Italia, accetta di finire il servizio militare a Trieste, perché ha trovato un luogo sicuro, in cui eccelle e soprattutto riesce a tenere a bada i suoi pensieri.

Chiara dà alla luce un bel bambino di tre chili, Edoardo: l’ha voluto chiamare così il padre, in ricordo di quel ragazzo che fece breccia nel suo cuore mesi prima, anche se non poté assistere alla nascita né ai suoi primi mesi di vita perché ancora occupato nel servizio militare.

Le lettere con Chiara passarono da essere due alla settimana a una, poi una al mese, fino a quando la leva non finì e Luciano ottenne un bel lavoro, con un buono stipendio, in una caserma nella periferia di Roma e chiamò la madre di suo figlio, per convincerla a trasferirsi nella capitale e vivere lì con la famiglia. Ma a Messina c’era qualcosa che il ragazzo non aveva calcolato, anzi, qualcuno. Chiara, in crisi dopo la nascita del piccolo, si era confidata con un nuovo inquilino che si era trasferito nel palazzo, proprio davanti a lei, della sua stessa età. Da vicini, diventarono amici, lui le stette molto accanto e si prese cura del bambino e i due si innamorarono. D’altronde, Luciano era il padre biologico ma non aveva rinunciato a niente per la sua donna, né per il nascituro, così Chiara fece la stessa cosa e decise di rimanere a Messina e vivere la sua vita con il suo bambino e questo dolce nuovo ragazzo. Non voleva saperne più niente di chi l’aveva abbandonata e Luciano dovette dire addio ad un Edoardo per la seconda volta in poco tempo.

In una calda giornata di fine agosto

La delusione fu molta ma, iniziando il nuovo lavoro e focalizzandosi giorno per giorno su sé stesso, il ragazzo, ormai dall’aspetto di un uomo, superò il trauma e iniziò una nuova vita a Roma. Affittò un appartamento non troppo lontano dalla caserma (doveva solo prendere un autobus per arrivarci, ironia della sorte, il 64) e fece nuove conoscenze che gli permisero di non rimanere solo al mondo, anche se era proprio in questo modo che dentro di sé si sentiva. Passarono gli anni, la sua vita in parte si modificò anche se mantenne lo stesso lavoro e alloggio. Nel frattempo nella città eterna si trasferì anche un ragazzo, ormai uomo, proveniente da Trieste, anche lui impiegato in un’altra caserma, un po’ più lontano. Nonostante le stesse abitudini, in luoghi quasi vicini, non si incontrarono mai per anni, 30 anni. In una calda giornata di fine agosto, in quelle dove a Roma non c’è più nessuno e l’asfalto si scioglie sotto le suole delle scarpe, Luciano aspetta il solito 64 per tornare a casa, dopo essere andato a trovare un compagno malato che abita nei pressi della caserma, e osserva il palazzo davanti a lui. La zona è molto bella, gli edifici sono colorati e rifiniti. Dal portone in legno in mogano esce un uomo, coetaneo, con un viso che sembra conoscere, uno di quelli che rimangono impressi nella memoria, il viso di una persona che gli ha cambiato la vita. Che sia veramente Edoardo? Dopo tutto questo tempo? Si sente arrivare l’autobus dalla fine della strada, ma lo “sconosciuto” ancora non alza lo sguardo, gli cadono le chiavi, guarda per terra, le raccoglie, mentre il mezzo sfreccia nelle strade vuote verso la fermata. Edoardo si alza da terra, e incontra lo sguardo di Luciano. Ad entrambi sembra di aver visto un fantasma. Neanche il tempo di un dubbio, l’autobus è arrivato, Luciano sale sul solito 64 e scompare nelle vie della capitale. In due luoghi separati, come sempre, i due restano con lo sguardo fisso nel vuoto, increduli per il fatto appena accaduto e con il pensiero in testa di aver rincontrato l’amore perduto.

Agnese F., Siria M., Emma C.

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